Anche l’Italia firma la Christchurch Call

Microsoft, Twitter, Facebook, Amazon, Dailymotion, Qwant, Google e YouTube tra i firmatari della Christchurch Call, iniziativa messa in campo al fine di contrastare i fenomeni di terrorismo ed estremismo online. Il nome scelto fa riferimento al luogo della strage in Nuova Zelanda del marzo scorso, con attentati che hanno causato la morte di 50 persone e il ferimento di altrettante trasmessi in diretta streaming.

Christchurch Call, c’è anche l’Italia

Tra i paesi che hanno aderito c’è anche l’Italia, insieme ad Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Giordania, India, Indonesia, Irlanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Regno Unito, Senegal, Spagna e Svezia. L’iniziativa ha inoltre ricevuto il supporto della Commissione Europea. Gli Stati Uniti hanno invece deciso di non offrire il loro appoggio, affidando il “no” a una breve dichiarazione.

La Casa Bianca è al fianco della comunità internazionale nel condannare i contenuti di natura terrorista ed estremista, ma al momento non si trova nella posizione per poter fornire il proprio endorsement.

Da Washington non sono giunte le spiegazioni ufficiali della scelta, ma c’è chi ipotizza possano in qualche modo essere legate alle preoccupazioni e ai malcontenti che serpeggiano nell’ambiente filo-repubblicano. L’entourage di Trump ha più volte puntato il dito nei confronti di quello che viene definito deplatforming ovvero l’esclusione dai social di pagine, gruppi e account personali per ragioni di natura politica. Per una strana coincidenza, proprio oggi debutta il tool online Typeform attraverso il quale comunicare alla Casa Bianca i provvedimenti ritenuti ingiustificati attuati dalle piattaforme nei confronti degli utenti.

Principi e linee guida

La Christchurch Call prende vita in una serie di principi e linee guida che da qui in avanti dovranno sostenere l’operato di aziende e governi, con l’obiettivo comune di infliggere un duro colpo a terrorismo ed estremismo online. Nel concreto si parla dell’esigenza di educare le società a un corretto utilizzo delle piattaforme, affinché possano essere le sue stesse componenti a far emergere e stigmatizzare comportamenti di questo tipo. Si fa poi appello a un’applicazione più severa delle normative già vigenti, all’adozione di standard condivisi da tutti i protagonisti del mondo online e di strumenti efficaci per la raccolta dei feedback. Il tutto senza andare a influire negativamente sulle libertà di parola e d’espressione.

Il tema è delicato. Di recente è stato oggetto di una votazione del Parlamento Europeo, arrivato non senza qualche attrito e resistenza ad approvare una nuova legge la cui finalità è proprio quella di contrastare la circolazione dei contenuti di matrice terroristica. Il testo attribuisce una maggiore responsabilità alle piattaforme, chiamate a eliminare gli elementi incriminati entro e non oltre un’ora dalla loro pubblicazione, facendo una distinzione tra le realtà più grandi e quelle più piccole, considerando le potenziali difficoltà di queste ultime in termini di strumenti, risorse e personale.

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