Budget Ict, le aziende italiane non innovano
Le aziende italiane non innovano. O almeno, i loro budget Ict sono sempre più magri. Lo conferma una ricerca della Digital Innovation Academy della School of Management del Politecnico di Milano, anticipata su Agenda digitale, dalla quale si trae una conclusione fondamentale: la strada, per il momento, non sembra essere quella della ricerca di una soluzione rivoluzionaria o significativamente incisiva per il proprio ambito di business o per le proprie pratiche di lavoro. Si punta piuttosto a un mantenimento dei modelli attuali. Con la necessità di stringere ancora di più la cinghia.
Non si spiegherebbe d’altronde, nonostante tutte le chiacchiere di cui amministratori delegati e presidenti amano riempirsi la bocca fra interviste e talk show, il rapporto fra il budget riservato alla spesa in informazione, comunicazione e innovazione e il fatturato delle imprese tricolori grandi e medio-grandi. Nel 2014 è sceso al 2,1% rispetto al 2,5% del 2013. E anche per l’anno appena iniziato i Cio, chief information officer dei gruppi, prevedono la stessa musica. Anzi, peggio: un ulteriore calo dell’1,47% sulle risorse che possono spendere per ammodernare la propria impresa. O almeno parti, funzioni e settori di essa.
Che significa? Molto semplice e terribile al contempo: che, almeno in seno alle aziende tricolori, per i prossimi mesi non c’è da aspettarsi nulla di diverso. Non una spinta verso il futuro, finanziata magari dagli sgravi all’Irap o da altre agevolazioni fiscali, ma uno stallo nel presente in termini di sviluppo e innovazione.
Se è vero, come dimostra l’indagine, che i settori più coinvolti come quello finanziario o dei media e delle telecomunicazioni rimangono stabili, molti altri (dalla pubblica amministrazione, in particolare la sanità, ai servizi alle utility e all’energetico) prevedono tagli a quella voce di bilancio fra il 2,2 e il 4,4%. Si cresce solo nell’industria dove tuttavia, e per assurdo ma neanche troppo data l’anzianità del nostro tessuto produttivo, quel budget pesa meno sui bilanci. Insomma, bisognerà cucinare con quel che si ha nel frigorifero, cioè con le poche risorse da spendere intelligentemente in un mondo sempre più veloce e competitivo, che trabocca di soluzioni avanzate in questo momento difficili anche solo da recuperare.
Quel poco che si spenderà, dove si piazzerà? La ricerca dice big data & analytics – nuovo mantra mondiale, essenziale a sua volta per l’ottimizzazione dei processi e dunque per il risparmio – che sono prioritari per il 55% delle imprese, con punte ben più alte. C’è poi la dematerializzazione (o digitalizzazione) spinta, guarda un po’, da uno dei pochi provvedimenti fatti e finiti del governo: l’obbligo di fatturazione elettronica nei confronti della pubblica amministrazione. Infine i sistemi gestionali Erp, piattaforme che integrano tutti i processi e i passaggi di un’azienda, dal magazzino alle spedizioni passando per il lato finanziario. Chiude l’interesse per dispositivi e applicazioni mobili per il proprio mercato. Rimane stabile l’outsourcing, cioè il ricorso a soluzioni cloud, chiavi in mano, insomma a piattaforme e servizi pronti che non prevedono un investimento permanente dell’azienda.
Insomma, stando a questi numeri le aziende italiane medio-grandi sembrano un po’ come quegli alberghi in decadenza dove si riesce sì e no a sostituire le lampadine bruciate o a riparare l’ascensore ma si rinviano ogni anno lavori essenziali di ammodernamento, dai pannelli fotovoltaici ai computer della reception. Per non innnovare (e spendere, certo) nell’immediato si rischia di entrare in un circolo vizioso in grado di metterci clamorosamente fuori dal mercato.