Chrome e l’autoplay dei video: parziale dietrofront di Google

È capitato a tutti di aprire un gran numero di schede nel browser e sentir partire all’improvviso la riproduzione di un contenuto multimediale, senza capire da quale provenga. Oppure di fare click su un collegamento e trovarsi un filmato riprodotto in automatico in un non meglio precisato punto della pagina. Dal punto di vista di chi naviga è senza dubbio un fastidio e la causa di un eccessivo consumo di banda se ci si trova connessi in mobilità. Con il rilascio della versione 66 di Chrome, Google sembra aver preso in modo chiaro le parti dell’utente finale, bloccando l’autoplay per i video con audio. È lo step finale di un percorso iniziato già in gennaio con la release 64.

User experience migliorata e tutti felici? Neanche per sogno. Tra coloro che hanno puntato il dito contro la decisione ci sono i game developer, coloro che sviluppano giochi online da destinare al browser. Il comportamento del software ne compromette la corretta fruizione, con le conseguenze che possiamo ben immaginare. E allora dietrofront di Google, che con la pubblicazione odierna della versione 66.0.3359.181 disabilità l’azione del blocco per i contenuti basati sull’API Web Audio. Da precisare che si tratta di una misura temporanea, con la limitazione che tornerà a operare nel mese di ottobre quando arriverà Chrome 70. La questione è dunque solo rimandata.Il product manager John Pallett al lavoro sul browser ammette che il team avrebbe potuto comunicare con maggiore chiarezza e tempestività l’arrivo del cambiamento agli sviluppatori, così da concedere loro la possibilità di adeguarsi: “Il team si sta impegnando duramente al fine di migliorare le cose per gli utenti e chi sviluppa, ma in questo caso non abbiamo svolto un buon lavoro nel comunicare l’impatto della nuova policy sull’autoplay agli sviluppatori”.

Considerando un market share che sfiora il 60% a livello globale – 66% su desktop e 53% su mobile -, Chrome è ad oggi il browser preferito dagli utenti, indipendentemente dalla tipologia di device impiegata per le sessioni di navigazione. A Google è affidato il non semplice compito di trovare il giusto equilibrio tra le esigenze di ognuno: da una parte coloro che si affidano al software per l’accesso alle risorse online, dall’altra la community di sviluppatori, webmaster e webdesigner al lavoro sulla creazione e distribuzione dei contenuti.

Tornando al blocco introdotto di recente da Chrome, si basa sulla valutazione di diversi parametri come le preferenze espresse dall’utenza e un indice chiamato Media Engagement Index, calcolato tenendo conto del tempo di riproduzione del contenuto, della presenza di un flusso audio, dell’area occupata sullo schermo e dell’interazione attiva con la scheda.

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