Roma – In questi giorni le autorità cinesi hanno introdotto un nuovo regime legale per i network telematici, sempre più bersagliati dai cyber-criminali quindi da difendere con ulteriori controlli e “supervisioni” da parte dello stato. Uno stato che in sostanza, stando ai critici, ha disposto l’introduzione di un altro strumento di censura delle opinioni e delle idee scomode per lo status quo.
La nuova legge passata a Pechino entrerà in vigore a partire da luglio 2017, e impone alle aziende di migliorare in maniera significativa le difese delle proprie reti informatiche; previsti, inoltre, controlli di sicurezza da parte delle autorità in particolari settori che sono stati classificati come “critici” per importanza.
Le aziende saranno altresì obbligate a fornire “supporto tecnico” alle autorità durante le indagini criminali, ad archiviare i dati personali e commerciali nei server localizzati sul territorio cinese e verranno considerate “responsabili” per la diffusione online di informazioni la cui circolazione non è stata approvata da Pechino.Stando a quanto affermano le autorità, la Cina è una “potenza telematica” ed è quindi costretta ad affrontare un numero di cyber-minacce proporzionato alla sua importanza nel panorama mondiale: il nuovo sistema legale è quindi pensato per rafforzare la sicurezza delle reti telematiche del paese a puro scopo cautelativo.
Il nuovo intervento di Pechino è solo l’ultimo di unalungaserie di iniziative censorie giustificate con l’urgenza della della cyber-sicurezza, ed è passato per l’approvazione finale dei membri del Partito nonostante la petizione delle corporation straniere preoccupate per gli obblighi censori o – peggio ancora – per la possibilità di dover rivelare i loro segreti industriali (codice sorgente incluso) alle autorità.
La Cina si dota di strumenti utili a censurare il dissenso con la scusa della sicurezza, mentre in Turchia Erdogan non ha bisogno di alcuna giustificazione posticcia per imporre il pugno di ferro anche online: negli ultimi giorni le autorità anatoliche hanno bloccato (o pesantemente limitato) l’accesso a servizi telematici quali Facebook, WhatsApp, Twitter, YouTube e Instagram, iniziativa molto probabilmente connessa all’ultima tornata di arresti dei membri del partito filo-curdo HDP.