Google: Don’t be evil, ma meno di prima

Don’t be evil” era uno dei capisaldi dei codici di condotta aziendale di Google, un biglietto da visita che l’azienda mostrava a chiunque si avvicinasse al PageRank, al funzionamento di Gmail ed a molti dei miti su cui il gruppo è stato costruito dalle mani di Larry Page e Sergey Brin. Ma oggi il famigerato “Don’t be evil” non c’è più.

Molto probabilmente questa simbolica scomparsa verrà archiviata come un passaggio pressoché insignificante, poche parole di scarso significato che facevano semplicemente da incipit e presentazione ad una azienda che voleva presentarsi amichevole ed aperta al dialogo. Ma proprio in quanto simboliche, quelle parole valevano da piccola formula magica di introduzione ad un mondo ideale che nei colori di Google disegnava l’orizzonte di un Web che si presentava al mondo in tutte le sue potenzialità.

Erano i primi anni 2000, roba lontana, tanto che oggi sbandierare un “don’t be evil” potrebbe in effetti non servire più (se non apparire addirittura ingenuo e pretestuoso). Non è chiaro cosa sia successo, in realtà: Google (oggi parte della casa madre Alphabet) non ha ancora fornito spiegazioni circa la scomparsa della formulazione originale e le ricostruzioni sulle varie pubblicazioni della pagina non chiariscono la dinamica di quanto accaduto.

Importante o meno che sia la modifica effettuata, a cui probabilmente saranno attribuiti significati ben più ampi all’esterno – che non all’interno – della società di Mountain View, si tratta di una novità che il gruppo dovrà presto o tardi spiegare poiché relativa ad un documento tanto formale quanto importante quale quello del “code of conduct” (la cui ultima modifica viene dichiarata in data 5 aprile 2018) che regola le azioni del gruppo.

Che poi a dir la verità il “don’t be evil” non scompare del tutto, ma passa dall’essere l’incipit del documento all’esserne la conclusione. Letteralmente: “E ricorda… non essere cattivo, e se vedi qualcosa che pensi non sia giusto, parla!”. Messaggio che, con ogni probabilità, parte dei dipendenti dell’azienda ha sentito immediatamente proprio visto che non sono stati in pochi (oltre 3000 le firme raccolte) a contestare la collaborazione prestata all’esercito USA in tema di Intelligenza Artificiale. Forse il cambio di rotta è un messaggio per questi ultimi, disegnando un nuovo modo di sentirsi parte di Google e quindi di rapportarsi con l’azienda. E tutto ciò spostando il “don’t be evil” in una posizione più consona e matura, meno chimera e più protocollo.

Don’t be evil non come risposta alla domanda “cosa farò da grande”, ma come serioso codice di condotta per un’azienda che non può nascondere la propria posizione strategica e centrale nel mondo dell’innovazione a livello internazionale. Livello in cui presentarsi con un “don’t be evil” potrebbe far sorridere, se non addirittura sospettare: meglio parole più istituzionali, spostando la colorita accezione che fu a semplice commiato. Più che causa, conseguenza.

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